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Tantissime domande a Fabio Ravezzani

Cinquantaquattro anni, milanese, Fabio Ravezzani è il direttore di Telelombardia e del gruppo Mediapason (che comprende anche le emittenti Antenna 3, Top Calcio 24 e Milanow), ma è soprattutto uno dei volti più noti della tv sportiva, come conduttore della trasmissione Qui studio a voi stadio. Anche lui ha incontrato i detenuti di San Vittore partecipanti al corso di Tecniche del giornalismo sportivo, che lo hanno intervistato.

 

Cosa pensa di Thohir e della nuova proprietà dell’Inter?
“Che sono ancora un bel mistero. La trattativa è stata lunga e partita su basi un po’ curiose. La conduzione della trattativa è stata particolare, perché avveniva tra Milano, Washington e Giakarta, città non solo lontanissime, ma con fusi orari totalmente diversi, quindi spesso passava un giorno, prima di poter avere una risposta a una email. Ora bisogna vedere che cosa ne voglia fare Thohir. E’ anche vero che Moratti ha una mezza idea di riprendersela se non ci saranno adeguati investimenti”.
Parliamo del Milan, allora. Che sta succedendo?
“È sempre stata una società ottimamente organizzata, ora sta attraversando un momento difficile. In più c’è anche la questione tecnica che non è di secondo piano”.
Balotelli se ne andrà via?
“Non ci sono dubbi. Ed è meglio così, per lui, per il Milan, per i tifosi”.
Lei ha lavorato anche con Aldo Biscardi. Ci racconta com’è?
“Sono stati tre anni molto divertenti. Checché se ne dica, con Aldo c’è massima libertà di dire quel che si pensa. A parte una piccola eccezione. In quegli anni Il processo di Biscardi era sul La7, emittente di Marco Tronchetti Provera, storico tifoso dell’Inter oltre che suo azionista ai tempi. Di Juventus e Milan si poteva dire qualunque critica, quando si attaccavano i nerazzurri, Biscardi, non inquadrato dalle telecamere, si sbracciava disperato, temendo chissà cosa”.
Il livello tecnico del calcio italiano è considerato molto basso ultimamente. Condivide?
“Diciamo proprio che la serie A è brutta. Basti pensare che la Juventus ha vinto due scudetti con Quagliarella, Giovinco e Matri, buoni giocatori, ma niente più, e che adesso Tevez, rifiutato dal calcio inglese, qui sembra un campione e fa la differenza. La spiegazione è molto semplice: un movimento calcistico va bene quando va bene la sua economia. E infatti negli anni Ottanta, Novanta e Duemila il calcio italiano sapeva attirare fior di campioni e vincere, basti dire Maradona, Shevchenko, Zidane, Weah, Matthaeus, Kakà. Adesso no, e si vede”.
Un altro dei problemi del calcio italiano è quello degli ultras. Come si risolve?
“Non so se sia risolvibile. Prendiamo la questione dei cori razzisti e di discriminazione. Gli ultras si sentono contro il sistema, e se il sistema gli chiede di smettere certi cori, che fanno più per ignoranza e senso di appartenenza che altro, loro reagiscono e li aumentano. L’unica strada per combatterli sarebbe andare allo scontro duro, con nuove leggi”.
Ad esempio?
“Mi spiace dirlo qui a San Vittore, ma l’Inghilterra ha battuto gli hooligan mettendo carceri negli stadi: chi alla partita faceva cori razzisti o atti violenti veniva preso di peso da steward privati, buttato in cella e processato per direttissima. Ma i politici hanno paura. D’altronde bisogna anche capirsi su una cosa: è una questione culturale.  A inizio Novecento in Inghilterra le scazzottate tra tifosi erano considerate normali, quasi un’attività sportiva a sé stante. E fino a una ventina di anni fa i cori contro Napoli - che io, sia chiaro, non approvo per nulla - erano accettati, o meglio ignorati, in tutti gli stadi. Adesso gli si è data importanza, li si è criminalizzati, e quindi resi in qualche modo appetibili dagli ultras, che adesso lì trovano un modo per combattere il sistema e un mondo che non li capisce. Forse la strada giusta sarebbe  ignorarli, prima o poi smetterebbero”.
Per parlare di tifosi, lei di recente ha cacciato da una sua trasmissione il giornalista filo-juventino Chirico. Che è successo di preciso?
“Beh poi abbiamo fatto pace in diretta tv. E’ successo che Chirico ha iniziato a sostenere che i giornalisti danno bassi voti in pagella ai calciatori che non gli anticipano la formazione. Una cosa assurda. È vero che nel giornalismo ci sono simpatie e antipatie, ma normalmente sono per il tifo del cronista stesso o magari per questioni di look. Dire quel che ha detto Chirico è insultare la categoria di cui sia io che lui facciamo parte. Io mi sono scaldato, lui pure, e alla fine l’ho invitato ad andarsene. Ma siamo persone adulte e abbiamo presto capito i nostri errori, senza che la cosa finisse per avvocati.
Certo, mi ha colpito la marea di reazioni via internet. Tutte preconcette. Ovvero, per gli juventini avevo automaticamente torto, per interisti e milanisti avevo ragione. Una cosa che riflette il Paese in cui viviamo”.
Chi vince il mondiale?
“Di solito lo vince una squadra del continente che lo ospita. Quindi direi che non si scappa: o Brasile o Argentina”.


Gli alunni del corso di Tecniche di giornalismo sportivo

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