Oreste Perri: "fare squadra è lavorare insieme"
Il 4 marzo le nuove elezioni del Comitato regionale lombardo del Coni
Caro Presidente, durante un incontro pubblico ha affermato che quello che le interessa davvero è fare del bene attraverso lo sport. Secondo lei, come lo sport può farlo?
Lo sport è prima di tutto incontro fra le persone, è relazione. All’interno di rapporti leali, fatti di dialogo, ascolto, di collaborazione e di solidarietà, una persona (bambino, giovane o adulto) può trovare una condizione di benessere. Fare del bene attraverso lo sport per me ha sempre significato mettermi in gioco come persona e donare tempo, energie, capacità nel rapporto con gli atleti quando allenavo, ed ora con tutti coloro che collaborano con il Coni.
Losport stesso può fare del bene alle persone quando è praticato per ottenere una migliore forma fisica, per divertimento o per raggiungere prestazioni di livello.
È importante che corpo e mente esprimano la persona nella sua integrità in un equilibrio armonico, ma dinamico. Lo sport è movimento ed il movimento è vita. Dunque riuscire a far praticare sport a chi è in difficoltà fisica (disabili o anziani) o anche psicologica, dona fiducia in se stessi, speranza e voglia di vivere.
Un passato da grande atleta e tecnico nel mondo della canoa; come dirigente sportivo ha iniziato la sua carriera da presidente del Coni. Eppure è vicino alla gente e alle piccole realtà sportive. Ha dichiarato, ad esempio, che l’incontro più bello del suo mandato l’ha vissuto in carcere. Vuole raccontarci perché?
Nelle carceri ci sono tanti ragazzi e giovani per i quali lo sport può essere “un gancio in mezzo al cielo”, una possibilità per divertirsi e imparare delle regole, sportive ma anche di vita. Il Coni porta cultura sportiva in carcere attraverso testimonianze capaci di trasmettere regole, rispetto e significato di sconfitta. Quando mi sono trovato tra i detenuti mi sono sentito insieme a delle persone, e nei rapporti con le persone ognuno è pronto sia a dare che a ricevere.Cassius Clay affermò: «Non è grave cadere, è grave non rialzarsi». Da qui, ho chiesto ai detenuti di credere in se stessi, di non perdersi, di avere degli obiettivi e di farsi aiutare a non perderli di vista. Solo quando gli obiettivi sono chiari, la fatica per raggiungerli si trasformerà in gioia.
Quali sono i punti più importanti del suo programma per il quadriennio 2017–2021?
Il primo obiettivo è di continuare a tenere unite tutte le strutture che operano nel Coni: le federazioni, gli enti, le discipline associate e le associazioni benemerite. Rappresentano la storia e la cultura dello sport. Voglio aprire la “biblioteca” delle benemerite per dare la possibilità ai giovani e alle persone di incontrarsi e portare avanti l’esperienza. Desidero una grande famiglia dello sport che sia un esempio e un aiuto concreto per il futuro. Il secondo obiettivo, è un Coni che non sia Milanocentrico. Milano è una parte importante della regione, ma ci sono anche altre città che necessitano di giusta attenzione. L’impiantistica sportiva è un punto fondamentale del mio programma. È stata abbandonata, soprattutto nel territorio milanese. Continuare la diffusione di cultura sportiva, che non sia in funzione del campionismo, è un altro obiettivo che ho a cuore. Entriamo nelle scuole per avvicinare i giovani allo sport per aiutarli a stare meglio insieme, uno sport inclusivo e aggregante che insegni rispetto e regole, che aiuti ad affrontare la gara della vita, con le salite che si incontreranno. E’ dunque importante mettere insieme tutte le competenze e fare squadra. Discussione, confronto, condivisione, con l’obiettivo comune che è mettere la persona al centro, non il pallone. Migliorando la persona, migliora la società. Nelson Mandela aveva detto «Lo sport può cambiare il mondo», noi abbiamo delle grandi responsabilità e dobbiamo lavorare in funzione della crescita dei nostri ragazzi.
Alle piccole società sportive d’oratorio, di quartiere e di periferia, che cosa vuol dire?
Sono cresciuto in oratorio e lo paragono ai fiori di campo; è un luogo privilegiato in cui vai e vivi te stesso liberamente, dove impari da solo le regole, l’autodisciplina e il rispetto dell’altro.
In oratorio si impara a tirare fuori il meglio di sé. Alle piccole società sportive vorrei dire che la differenza nei luoghi di sport non la fanno le strutture o gli sponsor, ma le persone. Certo, è anche vero che oggi “dare due calci al pallone” dopo la scuola, sembra comporti un costo importante; nemmeno le piccole realtà possono sussistere senza risorse economiche. Però è necessario che la pratica sportiva negli oratori non venga abbandonata e che le persone e gli allenatori continuino a mettersi a disposizione dei ragazzi per aiutarli a crescere attraverso lo sport.
Per educare alla lealtà, all’amicizia, al rispetto delle regole; non per consolidare lo sport come trampolino di lancio verso il successo, ma come incontro e relazione tra persone che insieme perseguono obiettivi comuni.
Favorire la pratica sportiva negli oratori e nei quartieri significa offrire ai ragazzi l’opportunità di sottrarsi per alcune ore all’uso di computer, cellulari, dalle maglie della rete e dei social network.
Ha sempre avuto grande considerazione degli Enti di promozione sportiva: cosa si aspetta da loro?
Tutti hanno la filosofia dell’inclusione e non della scelta del più bravo. Si è parlato tanto di abbandono precoce, una conseguenza della forzatura verso l’agonismo che faceva morire la passione verso lo sport. Gli enti hanno un approccio di avviamento allo sport, come salute e divertimento.
In particolare dal Csi cosa si aspetta?
Il Csi è una grande risorsa fatta di tante competenze, conoscenze, valori e persone motivate, convinte che lo sport sia uno strumento di educazione e solidarietà. Nel tempo ha costruito una rete capillare di realtà sportive diversificate per ambiti e soggetti. Per questo vorrei che mi aiutasse a conoscere meglio le realtà del territorio, anche quelle più periferiche. Sono convinto che non ci possa essere crescita nello sport senza una pratica sportiva di base ben strutturata e organizzata, grazie a persone motivate che vogliono il bene dei ragazzi. Da giovane vedevo il Csi, e gli altri enti, come un punto di riferimento. Invito il Csi a continuare nella sua opera sociale, non con l’obiettivo di generare campioni, ma bravi cittadini.
Tanti parlano di squadra, ma lei è uno di quelli che ci crede davvero. Cosa significa essere una squadra?
Essere una squadra vuol dire saper stare insieme, saper condividere e smettere di essere tanti “io” e diventare un “noi”. Significa che le risorse e le competenze di ciascuno devono essere messe al servizio degli obiettivi che il gruppo decide di perseguire insieme. Squadra significa rispetto dei ruoli, dialogo, confronto e aiuto reciproco. Mettere da parte l’arrivismo, l’egoismo e lavorare insieme per ottenere buoni risultati, purché si rispettino le singole individualità, le personalità e le finalità che vanno condivise. Se corri da solo puoi vincere, ma se vuoi arrivare lontano devi camminare con gli altri. Nella mia vita ho sempre voluto di fianco persone che mi aiutassero a raggiungere l’obiettivo. Oggi la mia filosofia è: circondati sempre di persone più brave di te, perché spesso non riconosciamo i nostri limiti. Avere qualcuno a cui rivolgersi e con cui confrontarsi, in uno scambio reciproco di competenze, è l’essenza dell’essere squadra.
Un sogno che ha nel cassetto?
Continuare a dare tutto ciò che la vita mi ha regalato. Trasmettere la mia fortuna a tutte le persone con cui mi relaziono. Continuerò a mettermi al servizio e a fare del bene con e per gli altri. Vorrei che lo sport fosse davvero un servizio per gli altri, per volare alto, ma tenendo i piedi per terra, non dimenticandosi delle proprie radici. A volte bisogna tornare indietro per andare avanti.
Un messaggio per le società sportive...
Chiedo ai dirigenti di creare le condizioni per far sì che gli allenatori lavorino bene. Non chiedete di far vince re i ragazzi, ma di educarli alla vita. Chiedo ai genitori di non domandare ai propri figli se hanno vinto o perso, ma se si sono divertiti. Chiedo agli allenatori di mettere al centro l’atleta, la persona e non la vittoria, con un atteggiamento propositivo. Ai ragazzi chiedo di mettercela tutta e di credere in se stessi, perché dentro di loro ci sono delle cose molto più belle di quello che riescono a vedere. Bisogna scavare nel cuore e nella mente per conoscersi meglio e per scoprire tutto ciò che di bello c’è.