Discorso alla città dell'Arcivescovo Mario Delpini
6 dicembre 2021
«... con gentilezza - Virtù e stile per il bene comune»
Lettura ai Vesperi
Sant’Ambrogio, De officiis ministrorum, II, 29-30
Preoccupiamoci di guadagnarci con ogni impegno la stima e la buona opinione altrui e di conquistarci con la serenità della mente e la benignità dell’animo l’affetto degli uomini. La bontà, infatti, è accetta e gradita a tutti, e non c’è nulla che più facilmente penetri nel cuore umano. Quando si accompagna alla dolcezza e alla mitezza del carattere, oltre alla moderazione nel comando e all’affabilità nel parlare, all’efficacia nell’esprimersi ed anche al paziente ascolto nella conversazione e al fascino della modestia, riesce a guadagnarsi un affetto di incredibile intensità.
Dalla storia sappiamo, non solo nel caso dei privati cittadini, ma anche a proposito degli stessi re, quale vantaggio abbia loro recato la gentilezza d’un’accattivante affabilità o, al contrario, quale danno la superbia e la tracotanza nel parlare, così da mettere in pericolo gli stessi regni e distruggerne la potenza (cfr. SAEMO, 13, 201).
INTRODUZIONE
AMBROSIANI ANCHE IN QUESTO TEMPO
Tra i cristiani di Milano divisi e aggressivi, Ambrogio fu uomo di pace con la sua autorevolezza e serietà, con la sua parola persuasiva e vera. In un tempo di lotte di potere, di imperatori deboli e di usurpatori violenti Ambrogio fu presenza lucida e operatore di riconciliazione. In un tempo di imperatori autoritari e di decisioni spietate Ambrogio fu voce di Dio, pagina di Vangelo per invitare a conversione.
In questo nostro tempo confuso, di frenetica ripresa e profonda incertezza, che tende a censurare un vuoto interiore, chi ha la responsabilità del bene comune è chiamato a essere autorevole punto di riferimento con discorsi seri e azioni coerenti, con la saggezza di ricondurre le cose alle giuste dimensioni, di sorridere e di far sorridere.
In un tempo di suscettibilità intrattabile e di esplosioni di rabbie irrazionali, chi ha responsabilità deve tenere i nervi saldi, esercitare un saggio discernimento per distinguere i problemi gravi e i pretesti infondati.
In un tempo di clamori esagerati per minuzie e di silenzi imposti dal politicamente corretto, chi ha a cuore il bene presente e futuro del nostro convivere ha il dovere di cercare informazioni affidabili e documentazione onesta, per evitare clamore e distrazioni.
In un tempo di aggressività pubblica e privata, di drammi terribili tra le mura di casa e di violenze crudeli, chi si cura della giustizia e della difesa dei deboli deve cercare di capire, di prevenire, di porre condizioni per arginare reazioni furiose e comportamenti delittuosi.
In un tempo di fatica esistenziale per tutti, per il crescere dell’ansia, a seguito della interminabile pandemia, occorre uno stile nell’esercizio dei ruoli di responsabilità che assicuri e rassicuri, che protegga e promuova, che offra orizzonti di speranza, anticipando, nella fermezza e nella gentilezza, il senso promettente e sorprendente della vita, con un agire non tanto e non solo solidale ma sinceramente fraterno.
L’esercizio della responsabilità richiede una dura ascesi per coniugare fermezza e gentilezza, giudizio sulle azioni e rispetto per le persone, pazienza e determinazione, pensiero lucido e parola amabile.
L’icona biblica che può ispirare la gentilezza nell’esercizio della responsabilità è la figura di Davide, «figlio di Iesse il Betlemmita: egli sa suonare ed è forte e coraggioso, abile nelle armi, saggio di parole, di bell’aspetto, e il Signore è con lui» (1Sam 16,18). Davide abbatte il gigante ed è vittorioso in battaglia e sa calmare la furia di Saul dominato dallo spirito cattivo (cfr. 1Sam 16,23); risparmia Saul che lo insegue accecato dalla gelosia (cfr. 1Sam 24; 1Sam 26), intona il lamento per Saul e Gionata, caduti in battaglia (cfr. 2Sam 1,17ss), sopporta gli insulti di chi lo maledice (cfr. 2Sam 16,5ss), è straziato dal dolore per la morte del figlio Assalonne, anche se ribelle e intenzionato a usurpare il trono (cfr. 2Sam 19,1-9).
L’esercizio della responsabilità richiede molte virtù: l’onestà, il discernimento, la prudenza, la fortezza, la mitezza, il senso dell’umorismo e alcune che mi sembrano particolarmente necessarie oggi, come la lungimiranza, la stima di sé e la resistenza. Ma per il servizio al bene comune, insieme a queste virtù è necessario uno stile che forse possiamo definire con la virtù della gentilezza. Per gentilezza non intendo solo le “buone maniere”, ma quell’espressione della nobiltà d’animo in cui si possono riconoscere la mitezza, la mansuetudine, la finezza nell’apprezzare ogni cosa buona e bella, la fermezza nel reagire all’offesa e all’insulto con moderazione e pazienza.
Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, parlando della “rivoluzione della gentilezza”, ci ha invitato a recuperarla con molta determinazione (nn. 222, 223 e 224): «La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. […] Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza».
Chiediamo l’intercessione di sant’Ambrogio nostro patrono per imparare e praticare le virtù del buon governo e lo stile della gentilezza.
I – LA LUNGIMIRANZA
Chi ha responsabilità nella vita della città e di ogni comunità non può sottrarsi alla pressione dell’urgenza per le emergenze che talora scuotono il convivere degli uomini e delle donne. Succede, però, che il singolo individuo, incline a pensare solo a sé e a ritenersi il centro dell’universo, secondo un individualismo troppo diffuso e troppo approvato, ritenga che i suoi desideri, bisogni, pretese, tutto sia legittimo e urgente.
La saggezza suggerisce di avere tempo e animo per considerare le situazioni e le richieste, le proteste e le pretese con un certo distacco per distinguere nell’immediato le emergenze vere e le urgenze artificiosamente create. Nello stesso tempo la saggezza richiede l’attitudine e la pratica della lungimiranza.
Per guardare oltre l’immediato e individuare le vie da percorrere sono una grande risorsa i risultati degli studi, la raccolta dei dati e la loro interpretazione, la collaborazione tra le accademie e i politici, tra uomini e donne di esperienza e gli amministratori, tra persone di pensiero e chi deve formulare leggi e decisioni.
In questo servizio alla pratica della lungimiranza nella nostra terra la voce della Chiesa e del suo vescovo offre con convinzione e modestia il proprio contributo. Mi sento in dovere di proporre alcune priorità per condividere attenzioni e incoraggiare provvedimenti pertinenti.
1. La priorità: promuovere la famiglia
La promozione delle condizioni che rendano desiderabile e possibile la formazione delle famiglie è la priorità irrinunciabile. La famiglia è principio generativo della società se è stabile, se trova nella società condizioni di vita serene, sane, per la disponibilità di case accessibili, per occasioni di lavoro propizie, per il sostegno necessario alla paternità e alla maternità responsabili, per alleanze educative che rendano l’educazione l’impresa comune che semina in città un futuro desiderabile. Troppi drammi si consumano tra le mura domestiche per troppa solitudine, per troppa aggressività, per troppi problemi che non trovano una mano tesa ad aiutare.
Pensando alla priorità da dare alla famiglia rifletto anche sulla necessità di promuovere e di curare la gentilezza nella relazione tra marito e moglie, il rapporto tra l’uomo e la donna come rapporto di reciprocità, nella pari dignità e nella valorizzazione della differenza. Quanto è importante per i figli poter vedere i genitori che si trattano con gentilezza, anche nell’affrontare le tensioni che inevitabilmente emergono in famiglia. L’alleanza nella famiglia tra l’uomo e la donna, nella stima e nella gentilezza reciproche, è una promessa di bene per i figli.
La città invecchia, popolata da troppi rapporti spezzati. La città intristisce senza la festosa voce di bambini che giocano. La città si innervosisce, intrappolata in un’eccessiva frenesia di risultati che non lascia tempo per le domande e per gli affetti.
La crisi demografica che minaccia di condannare all’estinzione la nostra popolazione non si risolve solo con l’investimento di risorse materiali in incentivi e forme di assistenza, ma certo se gli investimenti e i provvedimenti, la legislazione e le delibere sono orientati a favorire chi preferisce non farsi una famiglia, non avere figli, chi vorrebbe formarsi una famiglia e avere figli si sentirà più solo.
È necessaria però una mentalità nuova, una proposta di ideali di vita che sia offerta con la gentilezza della testimonianza, con l’argomento persuasivo della gioia di famiglie che donino con i figli e le figlie un futuro alla città. Le famiglie chiedono che nelle istituzioni si riconosca il volto gentile dell’alleanza piuttosto che la complicazione e la freddezza della burocrazia.
Forse qualche cosa del sorriso dei nonni può contribuire a stemperare le tensioni e le fatiche e può indicare come sia praticabile lo stile della gentilezza e dell’abitudine al sorriso persino a Milano, persino nelle riunioni di condominio. Forse qualcosa del senso pratico della nostra gente può contribuire a cancellare la retorica e a porre rimedio alla litigiosità e all’inconcludenza di certa pratica politica sul tema della famiglia.
2. L’emergenza: offrire ai giovani buone ragioni per desiderare di diventare adulti
L’emergenza educativa deve richiamare l’attenzione di tutti non solo nello sconcerto di episodi di cronaca impressionanti per aggressività, degrado, depressione. La stagione indefinita del Covid-19 ha diffuso, soprattutto negli adolescenti e nei giovani, svariate forme depressive, con un aumento considerevole dei disturbi alimentari sino alle forme estreme della bulimia, dell’anoressia, del buttar via la vita nei rischi estremi e nel suicidio.
È urgente consolidare un’alleanza per accompagnare le giovani generazioni verso il loro futuro. Mi sembra di raccogliere l’impressione di un’impotenza a proposito dell’educazione dei giovani. Sembra che abbiamo tutti i mezzi per spingere avanti i giovani, per predisporre condizioni propizie per realizzare ogni desiderio, ma non siamo in grado di dire verso dove convenga andare, non siamo in grado di dimostrare con semplicità, sincerità e gentilezza che vale la pena di diventare adulti.
Il clima lamentoso e scontento, la predisposizione a preferire la critica alla proposta, una sorta di complesso di inferiorità verso la tecnologia in cui i giovani sono nati sembrano lasciare il messaggio che l’esperienza degli adulti è poco utile, i risultati conseguiti hanno avuto un prezzo troppo alto nell’impatto ambientale e sociale, i debiti accumulati pesano come una minaccia sul futuro.
L’alleanza educativa non potrà essere solo la stesura di protocolli, il reperimento di risorse. Siamo chiamati a un’alleanza intergenerazionale che sia accompagnamento, incoraggiamento, proposta di un camminare insieme verso la terra promessa. Offrire una speranza è, infatti, la prima opera educativa e motivare la stima di sé è la condizione per convincere a intraprendere il viaggio della vita. Occorre, dunque, consolidare gli itinerari della fiducia (del fidarsi e dell’affidarsi) per offrire testimonianza che la vita buona è possibile e auspicabile, che la vita ci consegna, anche nella fatica della crescita, il volto della sorpresa e della promessa.
In riferimento all’emergenza educativa, o al pericolo di una «catastrofe educativa», come si esprime papa Francesco, in questo tempo tribolato, penso all’importanza del ruolo educativo e formativo delle scuole nei diversi ordini e gradi. Nella scuola si incontrano stabilmente le generazioni, i ragazzi imparano non solo nozioni, ma a relazionarsi con gli altri; tutte le famiglie, così come sono, possono trovare in essa un punto di confronto. In quell’intreccio dell’umano che è la scuola, ognuno è chiamato a vivere, imparare e trasmettere gentilezza in tutte le relazioni per promuovere vita buona.
È necessario che le famiglie e le istituzioni siano alleate per contrastare le forze che insidiano e rovinano i giovani con le sostanze che creano dipendenza, con la pornografia, con la tolleranza per forme di bullismo, di abusi, di trasgressione delle regole del convivere.
Ma la motivazione alle scelte promettenti per la vita richiede non solo la minaccia di castighi: piuttosto è essenziale quella gentilezza della conversazione che trasmette la persuasione che la vita è una vocazione, non un enigma incomprensibile, che il futuro è promessa e responsabilità, non una minaccia, che ciascuno, così com’è, è adatto alla vita, è all’altezza delle sfide, è degno di essere amato e capace di amare.
La gentilezza della conversazione è capace di quell’umorismo milanese che sdrammatizza con benevolenza, corrode i miti del grandioso, sa prendere le distanze dalle mode imposte dai social, si prende gioco della presunzione e dell’esibizione.
3. Le sfide: ambiente e lavoro
Nell’agenda pubblica, nell’attenzione responsabile di aziende e istituzioni educative, nella sensibilità diffusa tra le generazioni più giovani, i temi dell’ambiente trovano una sensibilità vivace, persino arrabbiata e risentita verso le generazioni adulte che hanno depredato e rovinato il pianeta.
Le vicende recenti hanno messo in evidenza sensibilità diverse diffuse nelle varie aree del pianeta e nelle diverse situazioni dei popoli.
La settimana sociale dei cattolici che si è svolta a Taranto in ottobre, Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso, ha messo in evidenza la tensione tra la difesa dei posti di lavoro e delle attività produttive e la salvaguardia dell’ambiente.
La nostra terra è in grado di mostrare come i due beni da custodire e promuovere si possano conciliare. Le buone prassi diffuse chiedono di essere conosciute e valorizzate non come laboratori specifici e appartati, ma come una metodologia per bonificare l’intero sistema produttivo e una sollecitazione a stili di vita personali e comunitari adeguati.
I temi sono spesso affrontati con toni aspri e rivendicativi. La gentilezza fa immaginare percorsi più concordi, rispettosi, costruttivi. La gentilezza è il motore delle comunità Laudato si’ che in modo spontaneo ed efficace nascono nella nostra diocesi.
I discorsi solenni, la proclamazione dei princìpi e delle intenzioni, la durezza delle denunce, la formulazione di normative rigorose sono forse interventi inevitabili. Rischiano, però, di essere inefficaci o di inserire ulteriori complicazioni nella burocrazia. L’esito è talora che i piccoli sono perseguiti per piccole trasgressioni, mentre i potenti proseguono imperturbati in scelte spietate nei confronti dei lavoratori e in prassi rovinose per l’ambiente.
È piuttosto necessaria la gentilezza del rapporto che percorre le vie della persuasione, degli argomenti, della ragionevolezza. È necessario promuovere nell’opinione pubblica una sensibilità che con l’apprezzamento incoraggi le buone pratiche e con la critica e con scelte di stili coerenti disapprovi i comportamenti che sono di danno al bene comune.
I temi ambiente e lavoro chiedono di allargare l’attenzione e l’azione agli aspetti culturali, educativi e di orientamento coinvolgendo le scuole professionali e le famiglie, con la consapevolezza di dover avviare processi ispirati a un rinnovato umanesimo cristiano: la concezione del lavoro nel rapporto figli-genitori, l’alleanza famiglia-sistema formativo per l’educazione dei giovani, la collaborazione efficace tra agenzie formative e imprese, lo sviluppo sostenibile e inclusivo che coniughi profit e no-profit e valorizzi il partenariato tra pubblico e privato. Lo sviluppo di questi temi può trovare nel territorio contesti propizi, perché ho constatato una grande disponibilità delle amministrazioni locali, delle aziende, delle iniziative formative e della comunità cristiana; in particolare, la pastorale sociale esprime la sua creatività nel promuovere queste alleanze e tale collaborazione nel pensare, nel prevedere, nel compiere passi concreti.
La gentilezza si serve anche dell’umorismo, dell’ironia, del paradosso, dei linguaggi della pubblicità: forme di comunicazione che sono talora più persuasive di interi trattati e di animose invettive.
II – LA FIEREZZA
1. Non lasciamoci cadere le braccia
La complessità delle situazioni, l’insistenza della comunicazione pubblica e dei social nel gridare la gravità dei problemi, nel mettere in evidenza fatti di cronaca orribili e sentimenti di rabbia inducono a un senso di scoraggiamento, di rinuncia, di sfiducia nel futuro e nell’umanità.
Noi, però, celebriamo sant’Ambrogio come patrono e dichiariamo che fa parte della nostra identità ambrosiana il trovarsi a proprio agio nella storia.
Non possiamo essere rinunciatari perché siamo consapevoli di essere al mondo non per essere serviti, ma per servire: la vita è una missione, non l’aspettativa che siano soddisfatte le nostre pretese. Non possiamo chiuderci in noi stessi, costruendo mura per la nostra sicurezza, perché siamo convinti che la sicurezza di un popolo, di una città, di una famiglia, di una persona non dipenda dal suo isolamento, ma dalle relazioni di buon vicinato e dalle alleanze da stabilire e da onorare.
Non possiamo limitarci alla denuncia e all’aspettativa che qualcuno faccia qualcosa, e ci infastidisce il lamento, perché siamo coscienti dei talenti ricevuti e fieri di poterli trafficare per continuare a scrivere una storia che meriti di essere raccontata.
2. La riconoscenza
Questo atteggiamento costruttivo e intraprendente merita la gratitudine di tutti. E io mi faccio voce della gente che ringrazia coloro che si fanno avanti per assumersi responsabilità nella nostra vita sociale.
I milanesi sono già “bauscia” per conto loro e non hanno bisogno dei miei complimenti, ma la speranza di questa nostra terra ospitale è che tutta la gente che vive a Milano faccia proprie le virtù dei milanesi e cerchi di evitare i loro difetti, perché questa terra vive per il contributo di tutti.
Ringrazio coloro che si sono resi disponibili per ruoli amministrativi: i sindaci, i funzionari della pubblica amministrazione, le forze dell’ordine, tutti coloro che dirigono le nostre istituzioni, le scuole, gli ospedali, gli operatori del sociosanitario, gli operatori di prossimità, i sindacati.
Ringrazio coloro che nella loro professione sono animati da intenzioni e realizzano programmi che sono di pubblica e privata utilità, che sanno unire con equilibrio il proprio interesse e il bene di tutti: imprenditori, docenti, liberi professionisti.
Ringrazio il popolo innumerevole dei volontari che dedicano tempo, competenze, passione per aiutare le persone fragili, per tenere vive iniziative e istituzioni educative, come gli oratori, le attività sportive, le proposte culturali.
Ringrazio il popolo numerosissimo che si dedica all’ascolto e alle risposte al bisogno, che anima e sostiene le iniziative di carità.
Ringrazio tutti coloro che vivono con onestà, impegno, fiducia i rapporti ordinari e che contribuiscono a dare della nostra città e del nostro territorio l’immagine di una società in cui è possibile una vita buona.
E ringrazio della gentilezza: perché è il tratto necessario a creare un clima costruttivo e a rendere più sciolti i compiti, le responsabilità, il lavoro quotidiano di noi tutti. La gentilezza si esprime nel trattare gli altri con rispetto, nell’apprezzare il bene che si compie, nel ringraziare per il lavoro ben fatto.
Anche quando il bene è compiuto da avversari politici o da persone antipatiche, anche quando si devono denunciare le cose storte e criticare scelte sbagliate, si può dissentire senza insultare, si può provvedere con fermezza ma senza disprezzo, si può correggere senza disprezzare.
3. Promuovere la partecipazione
Noi che siamo grati per il bene che si compie e fieri della nostra tradizione ambrosiana abbiamo anche la responsabilità di promuovere la partecipazione di tutti alla vita delle comunità e dell’intera società civile. Perciò dobbiamo contrastare alcune tendenze in atto e alcuni atteggiamenti.
La scarsa partecipazione degli elettori nelle elezioni amministrative da poco celebrate in alcuni comuni è un segnale allarmante e l’opera educativa e la sensibilità sociale di molti devono essere un invito, una sollecitazione per tutti.
I cittadini non sono clienti, e nessuno deve solo essere aiutato o essere tollerato. L’attenzione alle persone fragili non è soltanto beneficienza: anche chi è fragile ha risorse da offrire e doni da condividere. L’accoglienza di persone che vengono da altri Paesi non è solamente accoglienza: ogni cultura, ogni persona, ogni tradizione offre un contributo per la società di domani, la Chiesa di domani, la comunità di domani.
L’attenzione ai giovani non è solo accondiscendenza alle loro aspettative: soprattutto i giovani non devono pretendere che siano create condizioni favorevoli alla realizzazione dei loro sogni. Piuttosto sono chiamati ad avere progetti e a rimboccarsi le maniche per eseguirli, sono chiamati a considerare le sfide e a farsi avanti per affrontarle, sono chiamati a vivere la loro vita come una vocazione, ad avere stima di sé, a sapere che Dio chiederà conto anche a loro di come sono state messe a frutto e a servizio di tutti le loro qualità.
La vita condivisa è più ospitale, promettente e rasserenante quando ciascuno offre con gentilezza il suo dono, il suo contributo. La reciprocità tra uomini e donne moltiplica il bene e genera futuro se risplende in ogni cosa, anche nella gentilezza: forse è spontaneo, ma certo riduttivo, fare della gentilezza un tratto caratteristico dell’animo femminile e della fortezza un tratto caratteristico dell’animo maschile. Piuttosto è urgente promuovere una capacità di apprezzamento reciproco della pluralità dei linguaggi gentili e contrastare con determinazione l’aggressività dei linguaggi prepotenti, sgarbati, offensivi. Lo scandalo della violenza, in particolare della violenza di cui le donne sono vittime, impone una reazione ferma e una conversione profonda di linguaggi e di comportamenti.
III – LA RESISTENZA
1. Elogio degli artigiani del bene comune
La vita non risparmia a nessuno le sue asprezze. Ciascuno è tentato di ripiegarsi a compiangersi per le difficoltà, le sofferenze, le delusioni che lo affliggono.
Il sole sorge sui buoni e sui cattivi, come la pioggia scende sui buoni e sui cattivi. C’è però differenza tra i “buoni” e i “cattivi”. Infatti la vita può essere buona per chi fa il bene, e l’intima persuasione di non vivere per niente, ma per dare compimento alla propria vocazione per il bene di tutti, è uno spiraglio sul giudizio di Dio.
La nostra società è abitabile e la nostra terra desiderabile non per un qualche privilegio della natura, ma perché in ogni luogo e in ogni ruolo vivono e operano persone serie e oneste. Mi piacerebbe chiamarle “artigiani del bene comune”.
Gli artigiani del bene comune sono dappertutto e fanno qualsiasi cosa, ma si caratterizzano perché quello che fanno lo fanno bene e sono convinti che il bene sia già premio a se stesso, anche se, ovviamente, pretendono il giusto compenso per il lavoro che svolgono.
Gli artigiani del bene comune sanno che ci sono cose più importanti di altre: in primo luogo coltivano i rapporti fondamentali, con il marito, la moglie, i figli, i genitori; sono pronti a qualsiasi sacrificio per i figli e non hanno ambizione più grande di quella di dare loro un futuro migliore; lavorano volentieri e mettono nel lavoro attenzione e competenza; hanno rispetto dell’ambiente in cui vivono e contrastano lo spreco, il degrado, lo squallore. Sono onesti: sanno che si può guadagnare di più se si è disonesti, ma disprezzano le ricchezze accumulate rovinando gli altri e la società. Sono intraprendenti e se c’è da dare una mano non si tirano indietro e, se hanno stima di coloro che per il bene comune si caricano di fastidi, loro non sono da meno, per quello che possono.
Gli artigiani del bene comune vivono, come tutti, giornate buone e giornate cattive. Ma in conclusione possono dire: «Ho fatto quello che ho potuto, ho fatto quello che dovevo fare».
Alcuni sono burberi, altri espansivi, alcuni sono forti, altri fragili, alcuni sono i primi della classe, altri modesti, sono uomini e donne che sanno essere gentili. Alcuni sono i “milanes de Porta Cicca”, altri sono figli delle terre del sole e dei fiumi, tutti sono uomini e donne che sanno essere gentili.
2. Resistere alle insidie
Gli artigiani del bene comune sono capaci di resistenza. Resistono nella fatica quotidiana. Resistono nelle prove della salute e del lavoro. Resistono nelle complicazioni della burocrazia della società complessa. Resistono alle tentazioni del denaro facile e delle amicizie losche.
Si avverte che nella nostra società sono presenti persone e organizzazioni che disprezzano la vita umana, cercano in ogni modo il potere e il denaro. Si approfittano dei deboli, fanno soldi sulla rovina degli altri, distruggono giovinezze inducendo dipendenza dalle sostanze stupefacenti, dall’alcool, dal gioco, dalla pornografia. Si approfittano di coloro che attraversano difficoltà economiche e distruggono famiglie e aziende con l’usura, seminando paura, imponendo persone, convincendo di situazioni irrimediabili e di prepotenze incontrastabili che inducono alla resa prima della lotta e alla rassegnazione invece che alla rea-
zione onesta, condivisa con le istituzioni, fiduciosa.
La nostra società non ha bisogno solo di forme più severe di controllo, di interventi più incisivi della politica e delle forze dell’ordine.
La nostra società ha bisogno di abitare i territori dell’umano, allorquando si sbilancia su e con un nuovo umanesimo; la nostra società ha bisogno di presidiare le relazioni interpersonali, a fronte di una deriva delle stesse nelle interminabili connessioni virtuali (relazioni tascabili e liquide); di lasciarsi interpellare dagli ultimi della fila, dai vuoti a perdere, dalle vite da scarto.
La nostra società ha bisogno di farsi accorta nel custodire i desideri, senza inseguire – ossessivamente – tutti i bisogni (indotti e attribuiti, anche nella sanità e nell’assistenza); di rendersi conto che i problemi del welfare non riguardano solo qualcuno, ma interpellano tutti, nel possibile e plausibile rischio di una generalizzata esposizione alle grandi e nuove fragilità immateriali e dunque esistenziali. Ha bi-sogno di artigiani del bene comune che contrastino i disonesti e i prepotenti: è necessario resistere e far crescere la rettitudine morale. Devono essere coltivate l’interiorità lucida e l’opinione pubblica concorde nel ritenere ignobile il comportamento disonesto, nell’emarginare chi vuole imporsi e insegna ai figli e ai giovani a fare della prepotenza un titolo di merito.
C’è bisogno di gente che resista. Che resista con la gentilezza di chi sa che cosa sia bene e che cosa sia male e compie il bene perché ha fiducia nell’umanità, ha fiducia nelle istituzioni, ha fiducia in Dio.
CONCLUSIONE
In conclusione, invoco ogni benedizione di Dio sui responsabili delle istituzioni, sulla città e sul territorio, su tutti coloro che abitano questa terra, ne onorano la storia, ne preparano un futuro, vi seminano fiducia anche in questi tempi travagliati e complicati a causa della pandemia e di tutti gli altri drammi.
Secondo le parole del poeta Franco Arminio, «abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’inno alla crescita ci vorrebbe l’inno all’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza» (Cedi la strada agli alberi, 2017). Io aggiungerei: alla gentilezza.
Invoco ogni benedizione di Dio per tutti i fedeli della diocesi ambrosiana e vorrei essere io stesso benedizione gentile per tutte le comunità che mi è dato di visitare. Con il prossimo mese di gennaio si avvia la visita pastorale nella città di Milano: con l’animo del pellegrino e nello stile della gentilezza, desidero incontrare e lasciarmi incontrare da tutti coloro che pensosi si interrogano sul perché e per chi vivere, sul bisogno di relazioni, di fraternità, di giustizia, di solidarietà.
È mio desiderio incoraggiare tutti nella pratica della lungimiranza, fieri della nostra identità ambrosiana e proprio per questo forti nel resistere a ogni illegalità, tentazione divisiva, mancanza di speranza, certi che la potenza d’amore dello Spirito continua ad abitare anche la nostra Milano facendo germogliare infiniti semi di bene.
Invoco ogni benedizione di Dio per tutti i credenti di ogni confessione cristiana, per i credenti della comunità ebraica, per tutti i credenti di ogni religione, per tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Siate benedetti voi che sapete guardare avanti e diffondere fiducia con la serietà e la gentilezza delle persone per bene, come artigiani del bene comune.
Siate benedetti voi tutti che avete stima di voi stessi e che perciò vi fate avanti per l’impresa di aggiustare il mondo, con determinazione e gentilezza, e trovate insopportabili e ridicole l’arroganza e la presunzione.
Siate benedetti voi che siete forti e sapete resistere nelle prove e respingere, non con proclamazioni vuote e dimostrazioni inutili, ma con gentile fermezza, le tentazioni e cercate con tutte le forze di sradicare la malapianta della malavita e della corruzione.
Siate benedetti tutti, voi uomini e donne, di ogni popolo e lingua, di ogni condizione e in ogni situazione: il nostro santo patrono Ambrogio vi incoraggi con il suo esempio, interceda per voi presso Dio e vi raduni come un popolo che sa lavorare, sa sperare e sa cantare.
Arcivescovo Mario Delpini
Milano, 6 dicembre 2021
Fonte: chiesadimilano.it